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Via Crucis di Madrona

E' del 1952/53 la “Via Crucis” di Madrona, uno sbalzo di sette metri quadrati, collocata nella piccola chiesa sulla strada che porta alla cima del Monte Bisbino (Cernobbio, Como). L’opera prima di essere collocata nella sua sede fu esposta alla Galleria delle Colonne in piazza del Duomo a Como e benedetta dal Vescovo in fieri di Nicosia Mons. Gaddi.
"Su questa lastra ho lavorato in ginocchio, per molto tempo, e l’effetto l’ho visto solo a lavoro ultimato”, dice Riva in un’intervista del tempo curata da Maria Fagnani, e alla domanda “Perché il rame, materiale insolito e inatteso?”, risponde : “Perché il marmo è più indicato a ‘costruire’, mentre il rame, nella leggera ondulazione della lastra, ha più efficacia di espressione”.
Scrisse allora Bernardino Malacrida su “Il Corriere della Provincia” (settimanale diretto da Pino Tocchetti) un articolo dal titolo “Una geniale sintesi di Eli Riva”: “Il fatto nuovo sta nella genialità della sintesi e nei primi piani. Una successione fatta di sole teste e, nel plastico ritmo espressivo, si inseriscono alcuni elementi necessari a meglio valorizzare il momento rappresentato. Ogni scavo del volto di Cristo ha una diversa contrazione di dolore”.

La genialità di quest’opera, unica al mondo nel suo genere, è da attribuire al fatto che Eli Riva vi produsse due innovazioni: il cesello portato dalle piccole alle grandi dimensioni e l’introduzione di un ‘discorso unico’ al posto della tradizionale suddivisione nelle ‘stazioni’ dell’agonia del Calvario. Una sequenza da leggersi in senso orario, a cominciare dall’angolo sinistro in alto per concludersi al centro, nel Sepolcro.

Prendiamo dalla tesi di laurea di Lucia Mandressi dedicata all’arte sacra di Eli Riva (Università Statale di Milano, febbraio 2010): “La cappella non offre molto spazio, Riva decide così di creare un unico pannello (7 metri quadrati) che riassuma tutte le tappe del cammino alla Croce. Le stazioni si susseguono così in un continuum circolare, senza divisioni nette tra loro e l’impresa è possibile grazie all’abilità di Riva nel portare la pratica del cesello dalle piccole alle grandi dimensioni. L’opera è dunque innovativa per diversi motivi: per le grandi dimensioni affrontate con il rame e per l’idea di riunire tutte le stazioni in un’unica grande visione senza cesure. Le misure del pannello e l’esiguità della chiesa impongono poi allo scultore un’altra scelta narrativa, quella di restringere ai soli volti dei personaggi la raffigurazione dell’episodio evangelico, accompagnati ora sì ora no da un particolare accessorio e simbolico. I volti, fulcro del racconto figurato, vengono così caricati di forte espressività.
La lettura della “Via Crucis” inizia dall’angolo alto a sinistra con Gesù condannato: al volto rassegnato, ma nobile, di Gesù si contrappone il cranio di Pilato, di cui è visibile unicamente la nuca a testimoniare la gravità e forse la vergogna per la condanna che in quel momento viene pronunciata”.

E si conclude al centro col Sepolcro, fulcro della composizione, che riassume tutta la tragedia, ma con un Cristo che pare respirare nella sua solennità e protetto dall’ampio cerchio dell’aureola.
Dopo la Condanna, inizia la salita al Calvario, e nell’angolo destro in alto ecco la prima caduta di Gesù, che gira l’angolo della composizione.

“Poi (ancora dalla tesi di laurea) l’incontro con la Madre: Madre e Figlio sono uniti nel dolore dalle aureole su un unico sfondo, un incrociarsi di linee a significare la vicinanza dei due cuori”.

La Croce si fa sempre più pesante. Nella seconda caduta (in basso a destra) Gesù è sotto la Croce, leggermente incurvata quasi ad aumentarne il peso. Dirà Monsignor Giovanni Valassina nella meditazione pasquale del 2010 nella chiesa di Sant’Agata, dove era stata posta una grande riduzione fotografica dell’opera: “Gesù è visivamente schiacciato dalla Croce e dal destino. Il suo cuore pulsa quasi con la terra.”

“Poi (riprendiamo ancora dalla suddetta tesi) il Cireneo, riconoscibile nei tratti spigolosi e popolari.

La ‘Spoliazione’, con le sole mani adunche e rapaci nella brutalità della stretta.

La ‘Veronica’: La raffigurazione di un oggetto, il telo insanguinato, diventa emblema dell’intera stazione.

Il piede gigante, inchiodato, al pari della mano inchiodata più sopra. ‘Perché quel piede?’ fu chiesto all’artista. ‘Perché Gesù nella sua solitudine guardando in basso vedeva solo il suo piede’.

La calata dalla Croce, la ‘Deposizione’, è risolta dalla forza espressiva e simbolica, dal realismo, delle corde.

Finalmente il Sepolcro, fulcro della composizione, a riassumere tutta la tragedia, ma con un Cristo che pare respirare, protetto dall’ampio cerchio dell’aureola.”



Ciò che colpisce maggiormente in questo grande pannello è il silenzio della narrazione: non una smorfia, un gemito, un urlo di dolore, ma solo volti forti e impassibili dinnanzi al destino, volti profondamente umani, senza nessuna forma di patetismo.”
Questo costituisce, a nostro avviso, oltre alla nobiltà dell’opera anche il suo valore di modernità.
Scriveva ancora Bernardino Malacrida su “Il Corriere della Provincia”: “Il fatto nuovo sta nella genialità della sintesi e nei primi piani. Una successione fatta di sole teste e nel plastico ritmo espressivo ogni  scavo del  Volto di Cristo ha una diversa contrazione di dolore”.

Dobbiamo dire, a proposito di quest’opera, che purtroppo la piccola chiesa privata, dove è collocata dall’origine, è in stato di abbandono e di degrado; facciamo del nostro meglio per cercare di salvare l’opera dandole collocazione nella chiesa di Sant’Agata, casa naturale di Eli Riva per gli importanti lavori da lui svoltivi in ambito liturgico, dalle vetrate agli arredi, all’intero Presbiterio. Ma i tentativi fatti finora non sono andati a buon fine anche a causa della mancata collaborazione del parroco che non ha impostato la sottoscrizione fra i parrocchiani per l’acquisto dell’opera.

Per una collocazione dell'opera nell'itinerario cronologico di Eli Riva vi rimandiamo anche alla pagina "Anni '50 / Cesello / Madrona 1953".


Come complemento spirituale alla lettura di questa “Via Crucis” di Riva vi proponiamo i commenti poetici che Monsignor Giovanni Valassina scrisse per la comunità della chiesa di Sant'Agata durante la Quaresima del 2010, quando nella stessa chiesa fu esposta, per la prima volta, una grande riproduzione fotografica dell'opera dello scultore.

“Via Crucis”
Davanti alla Passione di Eli Riva


Questa Via Crucis, che il genio, l’arte, la fede di Eli Riva, lo scultore santagatese da tre anni deceduto, ha ideato e realizzato quasi al vertice delle sue opere che ingemmano questa nostra chiesa, vivacemente attuale, è di una potenza sconvolgente. La Passione di Cristo, come un uragano di dolore e di amore a ingoiare uomini e cose, che emergono come relitti di umanità partecipe, in disamore o in condivisione nel protagonismo del Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, il cui volto, sempre in primo piano, “reso duro come pietra” (così fu previsto dalla scrittura), diventa voce narrante di un avvenimento amato e sofferto per la storia sua e dell’umanità.
Quel volto di Gesù, sempre presente, affascinante, ossessionante, calamitante, ci narra la sua vita, fa sussurrare il suo cuore. Ci trasforma da spettatori  a protagonisti, coinvolti in quella Passione che è sua e anche nostra. Sui nostri minuscoli calvari: a sequela del “Martire del Calvario”.

I STAZIONE. GESÙ E’ CONDANNATO
Il volto di Gesù e la nuca glaciale di Pilato condannatore.
I lividi silenzi,
di complici e di correi,
passano tutte le condanne quotidiane degli omuncoli
e dei tribunali umani incattedrati
a giustizie provvisorie e deformate.
Folle di Pilati
si lavano le mani.

E nessuno ha mai colpa di niente.
“L’uomo condanna il Figlio di Dio, l’uomo-Dio”.

II STAZIONE. GESÙ E’ CARICATO DELLA CROCE
Il Cristo è a capofitto dentro la croce.
Un tutt’uno.
Impassibilità, fierezza, dignitosità, incuneate nella croce,
ormai tutta sua.
Sintesi di dolore e di donazione
che attraverso i tempi diventa muto linguaggio:
da respingere o da condividere.
Una croce,
simbolo di altre universali e apocalittiche croci,
in misterioso assemblaggio offerto impietosamente
al vituperio o alla adorazione.
L’umanità, giungla di croci:
su calvari anonimi.
A ripetere il testimoniato invito, attraente e scorticante,
in amicizia e riappropriazione:

“Chi vuol seguirmi inserisca nella mia la sua croce”.

III STAZIONE. GESÙ INCONTRA LE DONNE CHE PIANGONO
Lungo la strada del Calvario,
il Cristo accetta inedite
e impreviste tenerezze femminili,
fiorite da cuori di donna.
Dopo sua mamma Maria
sfiorano anch’esse il volto divino
che ne accetta il dolce pudico strofinio di compassione.
Silenzio: di amici in fuga,
di miracolati dimentichi
nell’umidore del bacio di tradimento.
Dalle labbra tumide di Cristo in balbettio di assenso,
in pacata dolcezza,
le sue scarne parole al futuro,
al futuro “crociato”
degli amici che la sua passione
conquisterà.
La compassione diventi conversione
al suo intramontabile amore,
che dalle balze del Calvario invade il mondo:
per strappare all’aridità terrestre
ghigni di peccati, di abbandoni disamorati
di divisioni, di razzismi, di odii armati.
Alle carezze delle donne di Gerusalemme
si aggiungano le nostre
in tremante pacata pietà.

IV STAZIONE. GESÙ CADE LA PRIMA VOLTA
Quanto pesa la croce, quanto pesano le croci!
Gesù si immedesima nella nostra fragilità,
nelle debolezze umane che la schiacciano.
Si legge sul suo volto il peso colossale
di tutte le nefandezze umane: i grandi insulti alla vita,
come le celate ipocrite compromissioni
a disprezzo della legge divina;
come le punte di spillo delle meschinità domestiche,
come i silenzi colpevoli
di irresponsabilità e di pretestuosi rifiuti di aiuto
ai prossimi vicini e lontani.
Il vero peccato che strazia Gesù prostrato a terra
è il perdere di vista la polvere delle terrestrità,
le strade che portano in alto.
Quanti uomini camminano nella vita,
diventata deserto e savana.

Scomparso Dio scompare il prossimo.
Ci saranno ideali alternativi?

V STAZIONE. GESÙ INCONTRA MARIA SUA MADRE
Due guance che si sfiorano.
Il volto di Gesù areolato con quello della mamma.
Una luce di amabilità dipinge
di gioia inespressa mamma e figlio.
Qualcosa di Maria in ogni donna;
regalo e mistero della femminilità,
tesoro ricevuto dall’alto
e distribuito a tutta vita
dal giorno in cui tutti fummo una perla di sangue.
Lasciamoci guardare in maternità e in fraternità.
Da quel giorno, da quel sentiero
di lacrime e di sangue,
due Marie, di mamma e di Maria
accanto a ogni uomo.

Anche nelle ore di Calvario.

VI STAZIONE. GESÙ CADE SOTTO LA CROCE
Il condannato a morte, senza urla di dolore,
prosegue il suo cammino.
Il peso della sua croce e delle croci
lo fa stramazzare a terra.
Quasi non vede più cielo, lassù.
Il suo cielo è oscurato da quel legno di tortura e maledizione
che gli uomini hanno allestito con ferocia.
Ora il suo cielo è la terra fredda e polverosa
contro la quale è spiaccicato quel suo volto,
che solo ha saputo compiangere a sorriso,
guarigione, salvezza.
L’amore del Cristo sotto il peso della croce
lo farà rialzare: per noi, di allora e di adesso.
Non si possono compiuterizzare i danni e gli orrori:
di una guerra, una strage, un overdose, un aborto.
Ma dalla fanghiglia, Lui si rialza
e porge vita, mani, cuore di redenzione.

Faccia contro terra dice ancora, ad ognuno:
“Coraggio, rialzati: come me e con me”.

VII STAZIONE. VERONICA ASCIUGA IL VOLTO A GESÙ
Per pietà, un velo di compassione,
di solidarietà, di tenerezza!
Sul volto del Cristo in ascesa verso il Calvario.
Sul volto e sul cuore degli sconfitti dalla vita!
L’amore vince il dolore.
Una donna cerca di aiutarlo asciugandogli il volto.
Gesù accetta perché il suo volto insanguinato,
ed ogni volto simile al suo,
trovi un velo, una mano di carezza
tatuati su un cuore di donna o di uomo
con riflessa la sua immagine divina.
E ci dica che il dolore di ognuno
è il suo dolore: del Signore-Dio,
del Signore-uomo.

“Questo volto stampalo in cuore.”

VIII STAZIONE. IL CIRENEO AIUTA GESÙ A PORTARE LA CROCE
L’incontro con i portatori di croce
è un happening quotidiano.
Più insolito, più emozionante, è incontrare
Samaritani, amici, cirenei,
datati in bianco e nero
che rallentino, si fermino, diano una mano,
paghino il conto:
firmando con una croce.
Il cireneo tenta di aiutare Gesù.
In realtà è Gesù che l’aiuta.
Quando c’è Gesù,
travestito da affamato, assetato, emarginato,
extracomunitario,, infermo, prigioniero
la croce, che  tante volte ci divide,
ci unisce, ci affratella, ci “incalvaria”.
E’ Cristo il nostro cireneo.

“Se vuoi, Gesù sarà il tuo cireneo”.

IX STAZIONE. GESÙ E’ SPOGLIATO DELLE VESTI
Una mano grifagna, impudica,
gli scarpa i vestiti
e quella tunica senza cucitura,
forse tessuta tutta d’un pezzo
dalle mani di Maria.
Perché, spogliandoci dai peccati,
ritrovassimo l’innocenza natale,
dono di Dio e nostro tesoro.
Peccati, storie di sempre e mani assassine
con vittime innocenti di ogni età.
Il pentimento e la lotta
contro il peccato nostro e degli altri,
la strepitosa assoluzione
nella Confessione sacramentale
ci rimette in piedi,
sanati miracolosamente
anche da una goccia di quel sangue divino
che dal Calvario in poi
ridà l’innocenza perduta
e il bacio dolcissimo del perdono.

“E tu, spògliati dei tuoi peccati!”.

X STAZIONE. L’INCHIODAZIONE
L’orrore di un piede squarciato
a gran colpi di martello,
rimbombanti nel cielo,
stupefatto per il martirio di un innocente.
Perché il suo sangue sprizzato
Sulla terra, assetata solo di acqua
e del calpestio della vita
vi imprima il sigillo
del suo “amore che salva”.
E noi abbiamo inchiodato
i suoi piedi di pellegrino
che conoscono tutte le strade del mondo.
Cammineranno ancora,
questi suoi piedi sanguinanti
sui nostri asfalti di oggi.
Il suo sangue segni per noi
nuove corsie per direzioni in verticale:
perché è sulle sue orme che potremo marciare:
passo dopo passo, solitari o in cordata,
fino al traguardo della sua Risurrezione
e della nostra salvezza.

XI STAZIONE. GESÙ MUORE SULLA CROCE
Con i loro chiodi e i loro martelli
essi hanno inchiodato quella sua mano sempre aperta.
Mano di compassione risanatrice,
che apriva occhi e orecchie,
che dava pane alle folle e buon vino agli sposi
e ridava strada a storpi e lebbrosi.
La sua mano sempre pronta a benedire,
a benedire tutti, buoni e cattivi, credenti e increduli,
a rendere puri i peccatori.
Quella mano, quelle mani noi le abbiamo squarciate e
inchiodate:
quelle lunghe mani di redenzione a carezzare il mondo.
Sulle sue labbra chiuse
la morte ha spento ogni sguardo sull’uomo.
Sul labbro immobile, deponiamo con un bacio
parole di speranza:
per noi e per ogni uomo
alle prese con la morte
e che il male insidia nei crocicchi del nostro mondo
inumano.

Tu, Cristo, sei la vita che non può morire!
Noi, siamo l’uomo che Tu non hai fatto per morire.
Concedici di trovare,
in te,
crocefisso in attesa di risurrezione,
in te,
la nuova vita.

XII STAZIONE. GESÙ E’ DEPOSTO DALLA CROCE
La Passione di Gesù
che il volto di Maria rivive nell’irreale silenzio
di accoglienza,
tra cuore e braccia materne,
nell’irrimediabilità di quelle funi calanti,
è tutto un silenzio avvolgente un corpo irrigidito.
Madre dei dolori quale ninna-nanna hai cantato
al tuo figlio immobile e rigido,
come ai giorni del suo primo sonno
quando la tua voce lo cullava
e il suo sguardo ti sorrideva nel sonno?
Oggi, il tuo figlio è in silenzio immobile.
Tu sei soltanto una donna che piange
e nelle tue braccia ecco il dolore
di ogni mamma che ha perso il figlio.
Eccoci, accordi come tuoi figli di oggi!
Ci fa paura il dolore e la morte.
Ripeti a noi le tue parole
di fede e di abbandono
per il risveglio di tuo figlio
e per la nostra serenità, al tramonto o in primavera.
Ricantaci la tua ninna-nanna materna.
Con Lui stringici tra le braccia,
ultima culla, ultimo sì,
in hora mortis nostrae.

XIII STAZIONE. GESÙ E’ DEPOSTO NEL SEPOLCRO
Un silenzio cosmico rabbrividente.
Gli occhi di Cristo intravvedono il cielo:
il cielo di suo Padre Dio,
il cielo del suo realizzato sogno
di oblazione e redenzione.
Finalmente in pace: una pace di attesa.
Dai sotterranei della Storia e delle storie,
di vita e di mala vita,
gorgoglia una voce:
“Provvisorio”.
E dove sorge una croce, a un capoletto,
a un cimitero, a un muro di prigione,
a un laboratorio, a un tribunale,
a una scuola,
sorge una speranza di risurrezione.

Per chi crede in Cristo, morto, sepolto,
risorto
anche una bara diventerà una culla.

Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo.
E di Maria.