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Eli Riva

"l'ultimo dei classici"

scultore
"a taglio diretto" erede
dei Maestri Comacini


  Nato a Rovenna di Cernobbio (Como) nel 1921 e morto a Como il 12 febbraio 2007.




Dotato di una manualità eccezionale, valore oggi in disuso, Eli Riva affrontava tutti i materiali inventandosi anche le tecniche per lavorarli: dal metallo, nello sbalzo e cesello appresi nelle botteghe artigiane, al marmo (perfino al porfido) quando fu chiara la sua vocazione alla scultura, al legno nelle grandi “Fionde”, alla cera delle ultime opere (il monumento a Papa Innocenzo XI e le “Case degli Angeli”). Per cera deve intendersi la “cera persa”, cioè da perdersi, mandata in fonderia saltando il passaggio del calco in gesso.

Alla manualità aggiungeva la dimensione culturale, una completa consapevolezza del fenomeno arte e del suo divenire, dalla tradizione alla contemporaneità. Nella sua lunga carriera portò infatti la scultura, in una maniera paradigmatica e personalissima, dalla pienezza delle opere del “Novecento storico”, da cui era partito nei primi anni ’50, a forme piú leggere e spaziali: dalla forma chiusa all’ “opera aperta” (i “Situs”, o “Case degli Angeli”, degli ultimi anni ’90), e dal “figurativo” all’“astratto”. Diceva: “Non si diventa astratti dalla sera alla mattina”.

Visse del suo lavoro - cosa non facile per un artista - grazie alle numerose committenze, per opere pubbliche, interventi condominiali, monumenti cimiteriali, arte sacra e liturgica, collaborazioni con architetti.



Negli anni ’50 era la promessa della scultura italiana, per i numerosi premi ottenuti: nel 1938 aveva vinto i “Littoriali del Lavoro” a Torino e nel 1939 era stato segnalato ai “Ludi Juveniles” a Firenze. Seguirono: Primo Premio Y.M.C.A. 1950, presidente della giuria Mario Radice; Primo Premio ex aequo alla Sindacale Regionale allestita all’Arengario a Milano; presenza alla Quadriennale romana del 1951; segnalazione in una collettiva per giovani alla Galleria San Fedele a Milano, presidente della giuria Carlo Carrà; Premio del Referendum alla Selettiva del Mobile di Cantù nel 1956; la “personale” alla Galleria Bergamini di via Senato a Milano nel 1953; un Primo Premio a Diano Marina, Imperia.
Così si esprimeva il critico Agnoldomenico Pica nel 1953 recensendo la mostra alla Galleria Bergamini di Via Senato a Milano: “Eli Riva ama la pietra, ha confidenza con il marmo, non si spaventa per la durezza del porfido o dei graniti. Sono buone qualità, anzi fondamentali e oggi rare, per uno scultore. In tempi di amori per eteree figurazioni sospese, di deliquescenze e premi internazionali per "statue" di fil di ferro e per vanissimi congegni di latta verniciata, questo giovane scultore conferma, nella mostra della Galleria Bergamini, la sua fede nel volume, non dubita della vocazione plastica della scultura.
La più palese ambizione di Riva è di attuare una sorta di continuità formale, una sorta di fluire senza fine dei volumi, in una successione di piani morbidamente raccordati, a tal punto che possono perfino ricordare, in talune sculture, il colare della cera. Sono ambizioni non estranee, ad esempio, alla scultura di Calò e di Cappello.
Fra le opere migliori segnaliamo alcune ceramiche smaltate e quelle Due Teste "lunari" riunite e nettamente scolpite nel porfido.”

In seguito i riconoscimenti spontanei e le gratificazioni iniziali vennero meno per motivi imprecisati: gelosie locali, disattenzione dei critici, un suo cosiddetto “cattivo carattere” che era intransigente moralità e non-propensione al compromesso, anche politico.

Eli Riva era vivo solo lavorando, e ... non ebbe tempo di badare al successo e curare la propria immagine.

Rivendicava la sua filiazione da Medardo Rosso, così come l’eredità dai Maestri Comacini, per quel suo lavorare a taglio diretto con scalpello e mazzuolo, vedendo entro il marmo senza un modello preparatorio.

Scultore e virtualmente architetto, si occupò di urbanistica (progetti per piazze e aree dismesse, salvaguardia del territorio); del vivere cittadino, con numerosi interventi e interviste sui quotidiani locali (fu nella commissione edilizia del Comune di Como negli anni’50). Collaborò con architetti per soluzioni presbiteriali delle nuove chiese post-conciliari, provvedendo anche all’arredo sacro ( Sant’Agata in Como, dove realizzò anche le vetrate, Blevio e Lipomo ).

Realizzò una copiosissima opera grafica, di cui nel gennaio 2009 è stata fatta una prima mostra postuma, al Salone Civico di Carimate, con relativo catalogo.


Lasciò numerosi scritti e teorie sull’arte che non si è avuto ancora tempo di analizzare. E’ in corso invece la catalogazione completa della sua opera.



Quanto al cesello, è da notare la specificità di Eli Riva: fu il primo a portarlo a grandi dimensioni, dapprima nella “Via Crucis” per la chiesa di Madrona (Como, 1953), una lastra di rame di 7 metri quadri; poi nei portali di due Chiese a Diano Marina (Imperia, 1956). In uno di questi Riva, come già nella “Via Crucis” di Madrona aveva eliminato le tradizionali ‘stazioni’, superò la convenzionale divisione in ‘quadrotti’, realizzando sulla superficie una stesura unitaria del discorso sacro. Il Portale in bronzo della Chiesa Arcipretale di Chiasso (Svizzera), del 1967, sintetizza e porta a compimento i frutti di queste scoperte.


“Via Crucis”
Madrona